Laboratorio per giocare con le “paure”

di Rosa Tiziana Bruno

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E’ un giovedì qualunque, destinato ad un racconto qualunque, intorno ad un argomento qualunque. Io, l’autrice del libro, sto per iniziare la narrazione. Probabilmente, pensano tutti, racconterò l’ultima fiaba pubblicata, qualcosa di allegro per sorridere e rilassarci un po’… Invece no, oggi ho deciso di soffermarmi su quella linea sottile che separa l’esistenza dalla non-esistenza. Scenderemo dentro, nel profondo di ognuno di noi, per riemergerne un po’ diversi, magari più consapevoli.

Un dubbio: sarà mica filosofia? Siamo certi che sia una narrazione adatta ai piccoli? Il fatto è che la condizione di “bambino” non ha proprio nulla a che vedere con l’incapacità di ragionare o di riflettere. E oggi ho voglia di coltivare la riflessività, attraverso l’esperienza del dialogo come processo di costruzione collettiva di conoscenza e di senso. Ho voglia di incontrare sentimenti ed emozioni, di creare un clima di fiducia e di rispetto, dove ciascuno può sentirsi sicuro di esprimersi, di ascoltare e di essere ascoltato.

Comincio così:  “Buongiorno: oggi raccontiamo la PAURA

Nessuno si scompone, vedo intorno a me occhi curiosi. Ci disponiamo seduti in cerchio, tutti vedono tutti. E’ il momento di mostrare il libro: l’oggetto magico da cui parole e immagini stanno per venire fuori. Nella parte alta della copertina il titolo riempie il cielo:”La paura è fatta di niente“; sotto c’è una barchetta di carta che ondeggia in un mare improbabile, con un bambino a bordo. Ai presenti viene subito voglia di scoprire cose c’è oltre quell’immagine… Ma prendo tempo e pongo una domanda:

Voi avete delle paure?

La risposta unanime, un coro deciso, è:  “NO“.

Incalzo:

Ma cosa significa avere paura? Ovvero, cos’è la paura, possiamo descriverla?

Ricevo svariate risposte:

Un sentimento

Un’emozione

Un pensiero

Un’idea

Una sensazione

Raccolgo le definizioni e le lascio lì, sospese, senza aggiungere precisazioni di sorta.

Bene, adesso raccontiamo la storia di un bambino della vostra età che ci descrive le sue paure. Vediamo un po’ se ritroviamo nella sua storia qualcosa che ci appartiene

Sembrano contenti e, soprattutto, sempre più incuriosity. Proseguo. Apro il libro e mostro la prima pagina, con testo ed immagine:

C’era una volta

e ogni volta che vuoi tu

un bosco buio di alberi all’ingiù

Il disegno di un bimbo che attraversa da solo una foresta, con l’espressione spaventata, colpisce molto. I bambini osservano con attenzione, con l’espressione rapita. Domando loro se esistono “alberi all’ingiù“, la risposta unanime è “no“.

Inizio a scherzare sulla possibilità di guardare il mondo alla rovescia. Insieme riflettiamo su come possa accadere di vedere la realtà in maniera distorta, al punto, magari, da aver paura di cose innocue. Accenniamo all’eventualità di vedere una stessa cosa in mille modi diversi. Confrontiamo brevemente le nostre esperienze, qualcuno racconta brevi episodi in cui ha creduto di vedere qualcosa che in realtà poi si è rivelato essere “altro”: illusioni ottiche, impressioni sbagliate, osservazione frettolosa… Dunque, l’ipotesi degli alberi all’ingiù comincia a prendere forma. Non sembra più così assurda. Proseguo nella narrazione, volto la pagina:

Conosco un bosco tinto di fosco

ogni tanto ci passo attraverso

Ha sentieri bui e neri

che gran fifa fuggirei volentieri!

Anche stavolta l’immagine che accompagna il testo è suggestiva. Domando ai bambini se qualcuno ha mai avuto la sensazione di trovarsi in un “bosco fosco“, come il protagonista della storia.

Qui ha inizio un fiume di racconti che vanno ad innestarsi nella storia contenuta nel libro. I bambini incrociano le loro storie con quella del protagonista.

Parlano dei loro “boschi”, raccontano di getto le situazioni da cui vorrebbero fuggire: stanze buie, urla dei genitori, rimproveri delle maestre, dispetti del compagno di banco, alieni (?!)… e molto altro.

C’è modo di confrontarsi  con gli altri e di scoprire che non si è da soli ad aver dei timori, anzi viene fuori che la paura è una condizione “normale”, soprattutto in determinate circostanze. Appartiene a tutti.

Mi unisco anch’io ai loro racconti. Anche i grandi hanno paura!

Espongo il mio ridicolo timore degli insetti. Ci ridiamo su, insieme.

Delle paure si può anche ridere, perché no?

Proviamo ad ipotizzare il lato “utile” della paura, perché in fondo è anche un invito a fermarci dinanzi al pericolo, la paura non è una cosa inutile! Ma è vero anche che rischia di diventare paralizzante, se è ingigantita o affrontata male.

Continuiamo a discutere. Tutti hanno da dire qualcosa, perfino i più timidi. Ma la curiosità di scoprire come prosegue la storia del libro ci spinge ad andare avanti, continuiamo a sfogliare le pagine:

C’è qualcuno che mi tocca

la paura è proprio sciocca

c’è qualcuno che mi prende

la paura è fatta di niente

Nel lettino son da solo

ma vorrei spiccare il volo

Ho paura della morte

il dolore è troppo forte

Ecco, ci viene voglia di raccontare i pensieri che ci assalgono prima di addromentarci. A volte sono tristi, oppure si tratta di desideri, di sogni ad occhi aperti, di ricordi.

La paura del buio sembra molto diffusa, accompagnata dal desiderio di condividere la stanza con un fratellino o sorellina.

Discutiamo dell’importanza della famiglia per ciascuno di noi. Parliamo di solitudine, di dialogo, di incomunicabilità.

Costruiamo immagini visive nella nostra mente e le confrontiamo; veri e propri disegni del pensiero, nati ad occhi chiusi.

“Raccontate mai i vostri pensieri più ‘paurosi’ a qualcuno?”- Domando

Scopro che in realtà per molti di loro è la prima volta, la prima occasione che hanno di confrontare i propri timori e desideri con quelli altrui. Qualcuno dice che, talvolta, confida alla propria madre qualcosa…ma non tutto, proprio no.

I più ammettono di tenersi le proprie paure dentro, per paura di essere giudicati o addirittura rimproverati.

Allora il protagonista di questo racconto ci assomiglia?” domando ancora

In effetti tutti si stanno identificando in lui. Con spontaneità e semplicità, lo ammettono.

Ma all’inizio non avevate detto di non avere nessuna paura?”

A questa mia domanda ridono tutti. Sorrido anch’io.

La voglia di andare avanti nella narrazione continua a mischiarsi con il desiderio di raccontare noi stessi. Raccontare e raccontarsi.

La storia contenuta nel libro si ricongiunge con quella personale di ognuno di noi, le nostre vite si uniscono e diventano un unico racconto.

Solo l’orologio riesce a distoglierci dal proseguire, il tempo a nostra diposizione è terminato. Ma una cosa è certa: adesso nessun sembra più aver paura di… raccontare la paura. E non è finita qui, questo è stato solo il primo incontro di narrazione previsto in calendario…

(to be continued)

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