di R. Tiziana Bruno
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La piccola fiammiferaia è la fiaba di Andersen che maggiormente denuncia, in modo esplicito e al tempo stesso poetico, le diseguaglianze sociali.
Ma sottolinea anche l’indifferenza, l’apatia e l’egoismo tipici della società post industriale.
La trama inizia descrivendo le condizioni meteorologiche terribili: neve, gelo, oscurità.
La protagonista è una bambina povera, quindi non vestita in maniera adeguata a fronteggiare il freddo.
E’ la sera dell’ultimo dell’anno, giorno di festa che accentua la sensazione di solitudine. E, com’è naturale, la bambina desidera e sogna LA festa.
Per colpa di alcuni carri che le passano accanto ad alta velocità, perde le sue calzature. Questo elemento della fiaba non è affatto secondario. Intanto ci spiega che siamo in una città, un luogo dove tutti sono frettolosi e anonimi e dove la premura è stretta alleata dell’indifferenza.
La bambina dei fiammiferi è relegata ai margini, nessuno la nota, nessuno la considera. E’ uno di quegli esseri umani che i benestanti sfiorano, senza mai voltarsi, senza farsi domande.
La sua casa, come ce la descrive Andersen, è senza vetri, con un tetto misero, nella periferia della città. Eppure la piccola fiammiferaia desidera tornare lì, ma non può farlo, perché teme di essere picchiata se si presenta senza denaro.
Ecco la denuncia di questa fiaba: il mondo soggiace alla logica del denaro. Tutti, intorno alla fiammiferaia hanno perso il senso del rispetto per la vita.
E’ un mondo che proibisce sogni. La bambina accende i fiammiferi uno ad uno per poter almeno immaginare, ma sarà proprio questo gesto che la condannerà alla morte.
I sogni ad occhi aperti che fa con l’aiuto dei fiammiferi, sono molto indicativi. Vede una tavola imbandita, cibo delizioso, un albero di Natale ben addobbato. Le descrizioni particolareggiate di Andersen contengono un’idea-denuncia: il bisogno primario dell’uomo è l’alimentazione. Nessuno può tollerare che questo bisogno non venga soddisfatto sempre.
I bambini hanno il diritto di sognare e di ricevere doni da Babbo Natale. La povertà nega anche questo diritto.
La denuncia finale di Andersen è chiara: “«Ha voluto scaldarsi» commenta qualche passante, anonimamente. In fondo, per i passanti la fiammiferaia è una creatura predestinata, è normale che abbia sofferto e che sia finita così.
Ma le fiabe non accettano mai la “normalità”, sono un continuo inno al cambiamento, alla ribellione contro ciò che opprime, fosse anche la più “normale” delle abitudini.
Esistono rivoluzionari che impiegano ore, giorni, mesi per stilare manifesti che incitino i popoli alla lotta. Basterebbe prendersi il tempo di rileggere le fiabe, nella loro versione originale (evitando quelle edulcorate che vanno per la maggiore, attualmente) per sentire la nostra coscienza risvegliarsi.
Partendo proprio dal cibo, l’elemento più semplice e scontato, le fiabe ci svelano le ingiustizie, fino a farci avvertire il disgusto per quel che accade intorno a noi. Torniamo a leggerle, anche noi adulti, perché sono attualissime, ci farà solo bene.
Riflettiamo: il cibo in realtà ci viene sottratto ogni giorno, ancora oggi.
Nel Nord del mondo ci viene sottratto nel momento in cui lo consumiamo senza conoscerne la storia o quando il lavoro ci impedisce di consumarlo lentamente, insieme ai nostri cari.
Nel Sud del mondo il cibo viene sottratto quando le industrie impongono cosa consumare e cosa coltivare.
Nessuno può dirsi al sicuro, sembra ricordarci Andersen.
Riprendiamoci quello che è necessario alla nostra dignità. Il tempo di mangiare insieme, la possibilità di sapere da dove arriva il nostro cibo, la generosità di condividerlo, l’opportunità di far festa, la speranza di riuscire a comunicare tutti meglio fra di noi, anche senza usare fiumi di parole.
Risvegliare le coscienze per immaginare un mondo migliore è uno dei compiti principali delle fiabe, lasciamo che lo svolgano, raccontiamole.
Da sempre una delle mie fiabe preferite. Sicuramente quella che mi ha fatto piangere di più!